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La legittimazione processuale dei fondi comuni d’investimento

Avv. Cino Raffa Ugolini - Lègister Avvocati


I fondi comuni d’investimento sono gestiti dalle società di gestione (SGR). Quando opera sul mercato - quindi quando acquisisce strumenti finanziari o beni immobili per conto del fondo – la SGR deve intestare tali beni al fondo o a sé stessa?

Quando la SGR agisce in giudizio, deve spendere il nome del fondo?


La natura dei fondi comuni d’investimento

Per rispondere a queste domande bisogna innanzitutto comprendere quale sia la natura dei fondi comuni d’investimento.

Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla natura dei fondi comuni d’investimento, che sono disciplinati dal testo unico della finanza (ovvero il Dlgs. n. 58 del 24.2.1998, di seguito TUF).

L’art. 36 del TUF dispone, inter alia: Il fondo comune di investimento è gestito dalla società di gestione del risparmio che lo ha istituito o dalla società di gestione subentrata nella gestione, in conformità alla legge e al regolamento...

Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti.

Il disposto del TUF – e delle norme delle leggi speciali che l’hanno preceduto – non chiarisce la natura dei fondi comuni e per questo si sono fronteggiate diverse interpretazioni.

Secondo una prima interpretazione, il fondo comune è assimilabile alla comunione di godimento (art. 2448 c.c.), anche se con tratti differenti. In particolare, i beni posseduti dal fondo sono di proprietà dei partecipanti e non della società, che l’amministra, la quale tuttavia ha il potere di disporne.

Secondo una diversa corrente, il fondo comune avrebbe una soggettività giuridica autonoma, ovvero sarebbe un soggetto terzo rispetto alla società di gestione e ai partecipanti al fondo. Pur non avendo una autonoma personalità giuridica, il fondo comune costituisce un centro di imputazione di rapporti giuridici assimilabile alle associazioni non riconosciute.

Infine, l’interpretazione prevalente ritiene che alla società di gestione spetti la titolarità formale del fondo comune, che costituisce un patrimonio separato ed autonomo, di cui sono beneficiari i partecipanti del fondo.


La soluzione accolta dalla giurisprudenza

Dopo alcune incertezze, la giurisprudenza prevalente segue l’ultima corrente interpretativa sopra illustrata.

Con la sentenza n. 16605 del 15.7.2010, la Corte di Cassazione ha chiarito che “i fondi comuni di investimento, seppur valutati alla stregua di autonomi centri di imputazione giuridica e di patrimoni separati, non costituiscono un autonomo soggetto di diritto, poiché difettando di strumenti che consentano di porsi direttamente in relazione con i terzi (in quanto privi di struttura organizzativa minima di rilevanza esterna), abbisognano a tal fine dell’intervento della società di gestione”.

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità presuppone che ogni attività negoziale o processuale posta in essere nell’ interesse del patrimonio separato non può, perciò, che essere espletata in nome del soggetto che di esso è titolare, pur se con l’obbligo di imputarne gli effetti a quello specifico ben distinto patrimonio, con conseguente esclusione della possibilità di intestare i beni al fondo medesimo.

Questo orientamento è stato confermato da un’altra decisione della Suprema Corte del 2019 (Cass. 08/05/2019, n. 12062) e più recentemente dal Tribunale di Milano , Sez. spec. in materia di imprese del 20/11/2021, il quale ha statuito che “la scissione tra titolarità sostanziale e formale dei diritti afferenti ad un fondo comune di investimento comporta che facciano capo alla SGR (come soggetto) i diritti e i rapporti nascenti dalla gestione”.

Può quindi dirsi che la giurisprudenza abbia aderito alla dottrina più autorevole sulla natura dei fondi comuni di investimento, ritenendo che i diritti e gli obblighi possono essere esercitati o adempiuti, come soggetto, solo dalla SGR, a nulla rilevando che questa ne sia investita solo sotto il profilo formale e non sostanziale.


Casi pratici

Le considerazioni che abbiamo illustrato sulla natura dei fondi comuni influenzano le risposte ai quesiti sulla legittimazione ad agire, anche in giudizio, dei fondi stessi e conseguentemente delle SGR che li gestiscono.

In particolare, ad esempio, in caso di acquisto nell’interesse di un fondo immobiliare, l’immobile che ne è oggetto deve essere intestato alla società di gestione e non al fondo.

Inoltre, qualora un fondo sia coinvolto in una controversia giudiziaria, solo alla SGR spetta la legittimazione processuale, sia attiva che passiva, senza che occorra spendere il “nome” o dichiarare di agire “per conto” del fondo in relazione al quale è sorta la controversia.

In altri Paesi, anche a noi vicini come tradizione giuridica, la situazione è diversa. Per esempio, in Francia, la SGR agisce in nome e per conto del fondo comune, che amministra. Quindi, la SGR deve spendere il nome del fondo, a conferma di una legittimazione ad agire autonoma del fondo stesso.

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